La Convenzione Europea del Paesaggio, legge italiana a tutti gli effetti, applica il concetto di
paesaggio: a tutto il territorio, riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani, comprende i
paesaggi terrestri, le acque interne e marine e concerne sia i paesaggi considerati eccezionali, sia i
paesaggi della vita quotidiana e sia i paesaggi degradati. Per contro il Codice Urbani applicando la
“tutela” solamente agli aspetti e ai caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e
visibile dell’identità nazionale, delinea di fatto un “paesaggio” ed un “non paesaggio”.
Quest’ultimo, inteso come l’elemento che lega e collega i “paesaggi” e che dovrebbe essere
anch’esso tutelato, non viene considerato.
Il Piano Paesaggistico Regionale, elaborato in ragione dei vincoli e delle invarianti e non già dei
processi ecologici, risente di tale condizione e pur individuando una molteplicità di componenti ed
indirizzandosi verso una visione dello stesso come bene composito, non tratta però delle
interrelazioni.
Né pare fondato sul principio del coinvolgimento attivo delle popolazioni, sulla conoscenza e
percezione dei luoghi ove vivono, sul riconoscimento delle diversità e specificità storico-culturale.
Per altro, la sola conoscenza del paesaggio, pur costituendo il primo e fondamentale strumento sia
per le scelte strategiche che per il coinvolgimento delle parti, non porta a definire obiettivi di
qualità e di azione limitandosi alla tutela anzi che alla valorizzazione.
Se la tutela e la valorizzazione sono complementari, si differenziano però nelle conseguenze; la
prima si traduce soprattutto nel non fare mentre la seconda è più programmatica (obblighi di fare a
salvaguardia del paesaggio).
Fatte le premesse di cui sopra, in riferimento al Piano Paesaggistico Regionale (PPR), adottato con
D.G.R. 53-11975 del 04/08/2009, la FEDERAZIONE INTERREGIONALE DEGLI ORDINI DEGLI ARCHITETTI,
PIANIFICATORI, PAESAGGISTI e CONSERVATORI DEL PIEMONTE E DELLA REGIONE AUTONOMA VALLE
D’AOSTA formula le seguenti osservazioni.
Prima della definitiva approvazione, si coinvolgano le realtà locali non solo per coerenza ed
effettiva applicazione con i principi di cooperazione, sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione,
a oggi semplicemente enunciati nei documenti di piano, ma soprattutto in applicazione della
Convenzione Europea che, come precedentemente affermato, dichiara che le azioni che riguardano
il paesaggio non possono prescindere dal coinvolgimento delle popolazioni.
Il fondamentale richiamo che fa la Carta europea alla “percezione” delle popolazioni implica:
1. il riconoscimento del loro ruolo attivo e basilare nella conoscenza, nelle decisioni, nelle
scelte di trasformazione, nelle attività di attuazione;
2. la consapevolezza dei limiti del solo approccio “esperto”.
Il paesaggio non è un tema settoriale e specialistico, ne la sua valorizzazione si deve limitare ad un
atteggiamento di pura difesa dei caratteri specifici. E’ indispensabile condividere consapevolmente
le trasformazioni.
La conoscenza specialistica deve essere resa accessibile facilmente, sia per quanto riguarda la sua
comprensibilità, che per quanto riguarda la sua messa a disposizione, da questo punto di vista
assumono grande importanza le modalità di rappresentazione e di comunicazione.
Perciò il testo normativo sia accuratamente riconsiderato attraverso l’uso di espressioni
comprensibili, efficaci, inequivocabili ed esaurienti, onde evitare difficoltà interpretative,
complicazioni e possibili contenziosi durante l’adeguamento degli strumenti urbanistici locali ed in
sede di gestione del piano stesso.
Anche gli elaborati cartografici siano espressi in termini inequivocabili e comprensibili. Le scale
utilizzate, i tematismi, i cromatismi, le simbologie che si sovrappongono, presentano notevolissime
difficoltà di lettura e di interpretazione. Si propone che venga utilizzata, almeno per le carte
prescrittive, una base aggiornata e di maggior dettaglio.
Inoltre le stesse tavole grafiche siano emendate dalle imprecisioni e dagli errori materiali quali ad
esempio: nuclei storici che ricomprendono aree di recente edificazione; aree di elevato interesse
agronomico individuate su porzioni di territorio già urbanizzato/antropizzato; imprecisioni nella
individuazione delle morfologie insediative.
Il paesaggio fortemente urbanizzato è spesso considerato un territorio alterato che ha perso la
maggior parte dei propri valori paesistici. Da questa prospettiva esso sembra un “non paesaggio”.
In questo “non paesaggio” vive, opera, si esprime la maggior parte della popolazione, ma il PPR
nelle “ Aree Urbane Consolidata “ e nelle “ Aree di Dispersione Insediativa” non sembra esprimere
criteri necessari alla riassegnazione di significati che conducano a una vera riqualificazione
paesaggistica ed ambientale.
La interrelazione di luoghi del paesaggio e luoghi del “non paesaggio”, di paesaggi eccezionali con
quelli della vita quotidiana la permanenza entro tali ambiti delle popolazioni con le loro attività,
comporta la esigenza che il PPR contenga Linee Guida intese come strumento primario per la
formazione di una base comune per i futuri interventi, garantendone una maggiore qualità, evitando
che le singole realtà locali prevedano azioni (e non solo) non conformi e coordinate.
Dal punto di vista operativo si suggerisce inoltre che, valutata l’effettiva capacità organizzativa
degli uffici regionali e soprattutto le modalità e le tempistiche per la concertazione con la
Soprintendenza, sia chiaramente definita, nell’ambito dell’articolo 17 della L.R. 56/1977 e s.m.i. o
con altri provvedimenti specifici, la procedura di adeguamento degli attuali Piani Comunali al PPR,
al fine di evitare un inutile e dannoso dilatarsi dei tempi .